“Lasciami stare”

di Anna Maria Mori​

Lasciami stare.
Quante volte lo abbiamo implorato, gridato, sussurrato all’altro, all’altra. Al mondo.
Anna Maria Mori ne ha raccolte tante di queste grida per sussurrarle a noi, gli altri, capitolo dopo capitolo, rigo dopo rigo. E il rigo è una linea dritta.
Frasi concise, dirette, senza orpelli grammaticali, esaustive ed esaudienti più di cento pagine di romanzo, sono le frasi di quaranta donne che si spiegano.
E ci spiegano il senso del loro lasciami stare.
“Non so quando ti ho guardato per la prima volta. Non mi piacevi. Non mi piaceva quel trasandato che ti portavi addosso, non mi piacevano la tua cupezza e lo sguardo nel quale non riuscivo a leggere. Non mi piaceva neanche il ruolo di ancora di salvataggio che mi avevi affibbiato senza interpellarmi. Quando ci siamo visti mi hai confessato che tu, invece, mi avevi guardata da tempo. Ho allontanato da me il disagio pensando che fosse amore. Ero sola e desideravo non esserlo più. E così mi sono lasciata andare, sono stata quello che tu avevi deciso che avrei dovuto essere per te. “
Il racconto di Elena continua, continua con una doccia che lava via lo sporco che quest’uomo le lascia dopo aver fatto l’amore, uno sporco che non vuole rimanga sulla sua pelle ma è solo così, con un individuo qualsiasi al suo fianco, che si illude di non essere più sola. Sa di esserlo ma con l’acqua vuole illudersi che resti soltanto il salvabile. Forse, tra la spugna dell’accappatoio, dirà a stessa – ora che ti ho lavato, lasciami stare – E così ogni volta, per riuscire a resistere.
“Quando nacque, suo padre mise la bandiera tricolore alla finestra. Isolina crebbe forte, allegra e obbediente. Ha sempre obbedito: prima a sua madre, autoritaria e ingiusta, poi a suo marito, debole e prepotente. Come tutti gli obbedienti a volte mentiva: – sono felice, sto bene. Se solo Isolina avesse avuto il coraggio di dire qualche no, ma lei era obbediente. È invecchiata lentamente, e lentamente ha smesso di ridere. Ha cominciato a piangere, ma di nascosto. Poi il no lo decise il suo corpo. Prima perse la memoria, poi cominciò a dimagrire, stava morendo. Non lo disse mai, né a se stessa né agli altri, ma morire sarebbe stata la sua unica disobbedienza”

È così che Isolina grida il suo lasciami stare, lo grida alla vita, la sua vita triste, infelice, ingiusta, e lo grida lasciandosi morire, l’unico modo che conosce per rifiutare quello che gli altri le hanno imposto: vivere come non voleva, come non meritava. Agli occhi degli altri è giustificata, non è stata lei a ribellarsi ma la natura, non è stata una sua scelta ma la legge del destino.
La immagino chiudere gli occhi, e sorridere pensando: e ora, vita, lasciami stare.
“Sarà che appartengo a una generazione di donne che considerava il corpo un bene che andava salvaguardato, sarà che sono cresciuta in una cultura in cui le mestruazioni erano una specie di malattia mensile che impediva persino di toccare un fiore, e la menopausa era il segnale indiscutibile del doversi mettere da parte, sta di fatto che ho deciso di staccare l’interruttore con il corpo. E il mondo intorno invece straripa di eserciti di ragazze che restano tali anche superati i cinquanta. Io? Non ci riesco, non posso, non voglio”
Questo l’autrice lo fa dire a Francesca, immagine oggi di una donna rara, una di quelle cioè che non vuole apparire una teenager ma la donna che è, con il suo tempo. La cura del proprio corpo oltre ogni misura accettabile è l’immagine di come tante si fanno frustrare da questa società che vive omologata ai target imposti dalla moda e dai mass media, fino alla assurdità di follia, quella cioè di riempirsi di siliconi, palloncini, punture, cuciture e altro convinte che soltanto così continueranno a essere desiderabili. E nei loro specchi non vedono i manichini che sono diventate.
Di fronte alla globalizzazione del corpo, la Francesca del libro indietreggia, sceglie di essere diversa da una massa impazzita e seguire il corso degli anni da calcolare sulla sua pelle, smagliatura dopo smagliatura, felice però di non dover faticare come le altre tra palestre, diete e chirurgia estetica per divenire soltanto una scadente copia di Barbie. Ma soprattutto di non essere parte di una massa senza più volto né identità, meno che mai personalità. È il suo modo di dire alla società del perfezionismo e della finzione: io sto bene così e sono bella così. Quindi lasciami stare.

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