Le spine tranciate di A. Porrino

Le spine tranciate

Alla rosa tranciai ogni spina.
Tante ne aveva
lungo quel gambo alto,
il suo bocciolo
cima di montagna mi pareva
dal basso dove mi ero piantata
come blocchi di cemento avessi ai piedi
mai liberi di muoversi,
piccolo lo vedevo
quasi un punto bianco
che scambiare si poteva
per un faretto
un sassolino
una lucciola,
eppure mai luce ci vidi.
Un dì iniziai
ardua era l’impresa
ma non me ne spaventai,
le devo spezzare una ad una
mi dissi
ma io lassù debbo arrivare.
Iniziai,
le prime spine si confondevano tra le foglie
occorreva spostarle per vedere che c’erano
si camuffavano
non volevano farsi scoprire subito,
quante foglie ho dovuto scartare
per arrivare a quelle spine
grosse, più del gambo da cui spuntavano.
La conta degli anni non l’ho fatta
ma le mie mani insanguinate

me l’hanno mostrata tutta
la fatica di toglierle dalla mia pelle
e buttarle nel burrone
quello su cui sorgeva quella rosa bianca
che tanto mi aveva resa determinata.
Poi mi sono trovata abbracciata
ad un tratto di stelo dritto e spesso
ma senza spine
eppure colloso,
appena ci sono arrivata
sembravo cementata ad esso,
quanto ho tentato di staccarmi
se ne veniva soltanto il primo strato di pelle
lasciandomi l’altro privo di difese.
Allora mi sono fermata
ho atteso che quella calamita si consumasse
mi facesse salire oltre,
quando l’ho fatto
la pelle del mio volto era solcata da lacrime
lontane
come letti di ruscelli asciutti,
mi sentivo guarita
tanto che per un po’
quella punta mi era sembrata oramai vicina.
Tutta allegra mi sono protesa verso l’alto del gambo
come nell’ora di ginnastica alle medie
quando mi facevano salire la pertica
come fossi una scimmietta ammaestrata.
Quel momento di gioia mi aveva depistata
non mi ero accorta
che altre spine mi attendevano
spavalde
curve

spesse come tronchi.
Quella sorpresa
mi bloccò il sorriso,
temetti la fatica di salire ancora.
Tra un sospiro ed un lamento
ho continuato a tagliare
l’orgoglio della speranza mi ha sospinta,
stremata
quel bocciolo non guardavo più
salivo in automatico
mentre mi domandavo perché mai avessi iniziato,
non devo dargliela vinta a quelle stronze di spine
era l’unica risposta
Ho disegnato mappe
ho tracciato percorsi
ho previsto ogni ostacolo
una ad una le ho tranciate e buttate
sempre lì
in quel burrone
sempre più lontano da me.
In un tempo che non ricordo
mi sono ritrovata alla cima
smarrita e confusa
mi sono guardata intorno
era vero
non c’erano più spine.
Timidamente mi sono guardata intorno
ho scrutato a fondo quel gambo divenuto liscio
ho guardato oltre le mie spalle
quelle che ogni tanto qualche spina furbetta
pungeva alla sprovvista,
niente
spine non ce ne erano più.

Mi sono accucciata sotto il bocciolo
ho tremato
ho dovuto placare gli spasmi del cuore,
con le mie mani calme
mi sono drizzata carezzandomi la pelle ferita.
E’ stato allora che mi sono ricomposta.
Inguainata in una pelle nuova d’infanta
con unghie ricresciute e due occhi maturi
ho sfiorato quei petali
per prenderne il velluto,
loro stessi mi hanno sollevata
e piazzata al loro centro,
mi hanno applaudita sbattendosi l’un l’altro
e mi hanno fatta danzare
come non ho mai voluto.
Una voce alta mi ha detto
sapevo che ce l’avresti fatta
è per questo che la rosa più spinosa l’ho data a te
saresti riuscita a spinarti
e divenire la nuova rosa che sei,
tanti altri
hanno volute essere soltanto spine.

Montagna, 15 settembre 2019 ore 11,15
A guardare le ultime campanule della stagione e domandarmi
perché mai queste campanule mi hanno fatto pensare
alla rosa della mia vita ?
Niente, non l’ho capito

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