Il Nobel alle donne

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Il premio Nobel è il più ambito riconoscimento al merito, in ogni settore venga esso espresso. Per essere degno di un Nobel devi aver occupato quasi la tua intera esistenza nella realizzazione di un qualcosa di grande, tale da ricevere un encomio che più alto non ce ne è. Una commissione di esperti, persone di dignità e valore oltre che di competenza, esamina le vite di tanti eccelsi, e in un dato anno decide chi e perché è meritevole di cotanta lode. Prima ancora che quest’anno venisse assegnato alla scrittrice Annie Harnoux, mi sono interessata alla storia femminile di questo premio, e ne ho letto qualcosa. Scorrendo le varie annate, leggendo qua e là i nomi dei vincitori, subito mi sono resa conto della enorme disparità quantistica tra uomini e donne, addirittura la percentuale sfiora l’uno a dieci, ossia ogni dieci Nobel, più o meno, uno soltanto va ad una donna, e spesso dopo vari anni dal precedente. Ho fatto conti precisi, partendo dal 1901, anno della creazione del Nobel, in ben 121 anni soltanto 60 sono i nobel assegnati alle donne. Tenendo conto che ogni anno sono sei le categorie da Nobel (pace, economia, chimica, fisica, medicina e letteratura) sono arrivata a tirare una somma inaccettabile: i Nobel agli uomini superano di quasi dieci volte i Nobel alle donne. Ogni anno quindi, l’antica Sala dei Concerti di Stoccolma si è popolata di uomini in frac e, di tanto in tanto, di un altro essere umano in abito lungo di velluto nero, e non sempre. Sono state e sono davvero così poche le donne straordinarie e geniali? Ma non lo crederebbe neanche un bambino! E allora? Sessismo e antifemminismo anche tra i Nobel? Forse, o per meglio dire, l’eterno timore verso una donna con tanto cervello e unghie forti che, per arrivare dove poteva, ha dovuto scavalcare dieci montagne senza neanche funi di protezione, contro le piccole colline salite dagli uomini, spesso senza affanno né rinunce di vita, spesso senza bisogno di cerotti perché mai feriti, spesso senza ansie né dubbi perché hanno trovato portoni ad attenderli aperti. Non è la solita polemica femminista, me ne guardo bene, né un alibi per attaccare ingiustamente il valore di questo premio, è soltanto una deduzione alla matematica che non mente, né è opinabile. E allora, nell’attesa che le statistiche inizino ad essere meno impari, ho ricercato le vincitrici, ho letto delle loro vite difficilissime, ho scoperto cosa hanno fatto per cui essere loro grate a vita.

 

Ed io lo sono ancora di più verso chi non lo ha mai vinto pur entrando tra i meritevoli, prima fra tutte Marie Undec, poetessa estone del primo ottocento.

Ecco, lei è proprio la portabandiera dell’ingiustizia, dello snobbismo verso le grandezze femminili, dell’umilio da effondere senza mai stancarsene, della spinta di caduta verso chi è avanti ma non lo si accetta. Marie Undec, infatti, è stata candidata al Nobel per ben otto volte, ma non lo ha mai vinto. Con lei, in questa lista nera della ingiustizia, una sequela di “vedove del merito” come le ho definite, delle quali quasi nessuno ne conosce qualcosa, neppure il nome. 

Ma un primato positivo c’è: a soli tre anni dalla nascita del premio, il nobel per la fisica viene assegnato, pari merito con il marito, a Marie Curie, polacca di nascita ma francese di adozione. Di lei si sa molto, anche grazie al cinema che ha reso reale colei che ci ha lasciato i raggi X. Al termine del suo discorso alla consegna del premio, disse: – Voglio credere che l’umanità saprà trarre più benefici che danni dalle nuove scoperte, non possiamo sperare di costruire un mondo migliore senza migliorare gli individui – Ma la frase, oramai famosissima, che la qualifica come donna straordinaria non soltanto come scienziata, è quella con cui rispose ad un giornalista che le chiese come si vive al fianco di un Nobel e lei disse – non lo so, lo chieda a mio marito … –

Soltanto due anni dopo, nel 1905, la baronessa Bertha Von Suttner vince il Nobel per la pace. Nata a Praga, ma viennese di adozione, fece tutto quello che era possibile fare contro tutto ciò che era violento e disumano, divenendo un simbolo per gli austriaci, tale che ancora adesso viene coniata una moneta con la sua effige, oggi è la moneta da due euro. 

Morì con queste ultime parole: – giù le armi, ditelo a tutti –

Nel 1909 il Nobel per la letteratura va a Selma Lagerlof. Ha scritto sempre e soltanto della sua Svezia, anche fiabe per bambini e leggende che in parte recuperava. Credo che questa scelta sia stata spinta anche dalla grande popolarità di questa scrittrice, nella sua nazione era ed è idolatrata. Ho provato piacere nel sapere che con il denaro del premio riuscì a ricomprare la casa di famiglia che aveva dovuto vendere per dissesti economici, e che donò la medaglia per raccogliere fondi durante la guerra e aiutare le famiglie dei soldati. 

Anche il suo profilo è coniato su una moneta, svedese.

Nel 1911 è di nuovo l’insuperabile Marie Curie a vincerlo, questa volta da sola, per la chimica, aveva scoperto quello che lei stessa battezzò polonio, in ricordo della sua terra d’origine, la Polonia. Dopo il suo bis, abbiamo dovuto attendere ben quindici anni, e così nel 1926 il Nobel per la letteratura lo vince la nostra Grazia Deledda. Il connubio, tra lei e la sua Sardegna, lo dimostrò ancora una volta anche alla consegna del premio, quando disse: – Sono nata in Sardegna, la mia famiglia è composta di gente savia ma anche di violenti e artisti, amo il mio paese e sogno di narrare la vita di un popolo così diverso dagli altri, vilipeso e dimenticato e perciò misero, sono piccola ma ardita come un gigante, non temo battaglie intellettuali. Ho vissuto coi venti, la mia arte si è formata come un motivo che sgorga dalle labbra di un poeta primitivo –

Nel 1928 ancora un Nobel per la letteratura che va a Sigrid Undset, svedese, autrice di innumerevoli scritti storici riguardanti il medioevo vichingo.

Nel 1931 è per la pace che il Nobel va a Jane Addams, attivista per il bene altrui. Fondò case di accoglienza, creò associazioni che si batterono per ottenere riforme sociali e democratiche, basando tutto sull’esempio, la collaborazione, la non violenza, neppure quella verbale. 

Nel 1935 Irene Curie vince il Nobel per la chimica. Si, la figlia di colui che lo vinse una volta e di colei che lo vinse due volte! Ma non basta, lo condivide con suo marito, il fisico Pierre Joliot, dal cui matrimonio nacquero due figli maschi divenuti poi anch’essi scienziati d’alto livello. Irene studiò nell’Istituto creato dai suoi genitori, e poi affiancò la madre nel lavoro e nella ricerca, fu così che riuscì a far progredire i risultati scientifici ottenuti in precedenza dai suoi genitori. Morì giovane per i danni delle radiazioni cui si era esposta, come suo marito e sua madre qualche anno prima.

Si ritorna alla letteratura nel 1938 con Pearl Sydenstricker, già vincitrice del premio Pulitzer. Visse per molti anni in Cina con i suoi genitori missionari in quella terra, e soltanto a tarda età andò a vivere negli Stati Uniti, ma la Cina è sempre stata la materia d’argomento trattata nei suoi libri. Nei primi anni di scrittura fu costretta ad usare un nome maschile, il suo pseudonimo era John Sedges, poi potette usare il suo ma unito a quello del marito Buck. Dovette attendere la possibilità di divorziare per divenire lei, cioè Pearl Sydenstricker.

Ancora la letteratura nel 1945, e ancora uno pseudonimo che la cilena Gabriela Mistral dovette usare per sempre: Lucilla de Maria de Perpetuo Socorro. Come tutte in quei decenni ebbe molte difficoltà per studiare ma ci riuscì, iniziò subito con articoli di giornale e poesie, saggi e romanzi, alternati ad una vita di insegnamento e viaggi per tenere conferenze nei vari atenei internazionali. Come in altre situazioni analoghe, anche in questo caso la dittatura cilena si appropriò di buona parte dei diritti del suo lascito editoriale, ma in compenso fu coniata una banconota con l’immagine del suo volto.

Un anno dopo, il Nobel va all’americana Emily Greene Balch, per la pace. Attivismo, costituzione di associazioni no-war, insegnamento pacifista e creazione di una rivista per raccogliere scritti e testimonianze contro ogni violenza. Di religione quacchera, Emily Greene non volle mai sposarsi anche se la sua era ancora un’epoca in cui il matrimonio era una scelta scontata, quasi di costrizione

Un solo anno dopo ed ecco di nuovo la scienza, Nobel per la medicina a Gerty Theresa Radnitz. Nasce a Praga in una benestante famiglia ebrea, ma poi naturalizzata americana in seguito al matrimonio con il dottor Cori con cui condivise il premio. Insieme scoprirono come gli zuccheri alimentari vengono trasformati nell’organismo divenendo fonte energetica. Prima di apprendere la notizia del nobel, a Gerty fu diagnostica una grave ed incurabile malattia che la condusse alla morte pochi anni dopo. Durante il discorso di ringraziamento, il marito diede ampio merito agli studi di sua moglie. Ammirata moltissimo anche come persona, alla sua morte scienziati di tutto il mondo si recarono da lei per omaggiarla. Ai suoi funerali fu mandata in onda una registrazione da lei stessa realizzata per lasciare ai posteri i suoi ultimi pensieri: “Le virtù che ancora ammiro sono l’integrità intellettuale, il coraggio, la gentilezza, anche se, con l’avanzare degli anni, l’accento si è leggermente spostato sulla gentilezza, che sembra ora per me più importante rispetto a quando ero giovane ”

Dal 1947 dobbiamo attendere quasi vent’anni, è soltanto nel 1963 infatti che  un Nobel viene assegnato di nuovo ad una donna, Maria Goepper per la fisica. Nasce in una benestante famiglia tedesca dove musica e cultura erano i protagonisti assoluti del loro quotidiano, non meraviglia quindi la grande capacità intellettiva che aveva ereditato Maria, che conseguì gli studi anni prima del dovuto. 

Subito il lavoro di ricerca che condusse insieme al marito Mayer, subito le scoperte circa il modello a guscio del nucleo atomico. All’arrivo della guerra i coniugi dovettero fuggire in America a causa delle loro idee pacifiste, fu lì che Maria proseguì gli studi che la condussero al Nobel.

Un anno dopo, ancora una scienziata, questa volta è la biochimica e cristallografa inglese Doroty Crowfoot. Studiosa sin da piccola, fu la madre a portarla involontariamente alla ricerca, quando le regalò un libro sui raggi X. Da queste basi riuscì a determinare la struttura delle molecole del colesterolo, della insulina, della vitamina B, della ferritina, ma soprattutto la struttura della pennicellina. Furono queste ultime scoperte a scatenare tanta rabbia nei suoi confronti, molti scienziati uomini ci lavoravano da anni senza successo, e così, come spesso accade, si vendicarono ignorandola, fino a odiarla all’annuncio del suo strameritato Nobel. Come dire: a lei l’onore, a loro il livore, eterni entrambi !

Due anni dopo un’altra donna salì sul podio: Nelly Sachs, per la letteratura. Originaria di una benestante famiglia ebraica tedesca, a causa della sua cagionevole salute, porta a termine i suoi studi con un insegnante a domicilio. Sin da giovane si interessa di poesia e presto inizia a comporre, i suoi versi piacciono  e si diffondono. La guerra alza una barriera, la persecuzione nazista la costringe a chiedere aiuto all’estero, fu Selma Lagerlof a farle ottenere asilo in Svezia insieme a sua madre, senza il padre. Furono anni difficili, dovette fare la lavandaia per sopravvivere anche alla morte della madre, e così maturò un diverso stile poetico, non più romantico. Un critico letterario usò una frase stupenda per definire la sua poesia: – la prima scrittrice che ha fatto dei camini di Auschitz il tema dei suoi versi – Nonostante la rivincita di vedere pubblicati e diffusi i suoi versi anche in Germania, non più nazista, l’orrore di quegli anni passati la portarono a continui ricoveri in ospedali psichiatrici e, nelle pause, conduceva una vita totalmente ritirata, in una costante e incurabile tristezza.

Più di una decade di attesa, ma questa volta sono due le donne a salire su quel palco, è il 1976 e il Nobel per la pace va pari merito a Betty Williams e a Mairead Corrigan. Betty Williams iniziò la sua battaglia pacifista in seguito ad una tragedia di cui fu l’unica involontaria spettatrice: un auto fuori controllo investi tre fratellini uccidendoli. Il conducente, un latitante dell’IRA, era stato colpito da proiettili sparati da poliziotti britannici. 

Dopo soli due giorni Betty aveva raccolto 6.000 firme per presentare una petizione alle autorità competenti, con la quale si chiedeva di portare la pace nell’Irlanda del Nord, e riuscì ad organizzare, insieme alla zia dei tre fratellini, una marcia composta da 10.000 donne protestanti e cattoliche, unite insieme a sfilare in silenzio per un unico scopo: basta con le faide religiose. Fu così che Betty Williams, di religione protestante, e la cattolica Mairead Corrigan si conobbero, e insieme fondarono la Community for Peace People. Meritarono il nobel per l’impegno sempre profuso e i tanti risultati ottenuti, nonché per la creazione di istituti impegnati nell’accoglienza di bambini bisognosi di rifugio a causa delle faide religiose presenti nei loro paesi di origine. Insieme a dimostrare che, se si vuole davvero, ci può essere pace e convivenza seppur divisi da ideali religiosi e politici diversi, nel rispetto reciproco che è il vero senso umano del convivere, prima ancora del vivere.

Nel 1977 il Nobel per la medicina viene assegnato all’americana Rosalyn Sussman. Nata da genitori poco più che analfabeti, eppure grazie ai loro enormi sacrifici potè terminare con il massimo dei voti tutti gli studi, e per questo fu ammessa ad una famosa università dove era l’unica donna su circa 400 uomini. Il suo discorso alla consegna del premio, terminava così: – Non dobbiamo aspettarci che nell’immediato futuro tutte le donne possano ottenere piena uguaglianza e pari opportunità, dobbiamo credere in noi stesse o nessuno crederà in noi; dobbiamo alimentare le nostre aspirazioni con la competenza, il coraggio e la determinazione di riuscire, e dobbiamo sentire la responsabilità personale di rendere più semplice il cammino per chi verrà dopo – La sua scoperta ha agevolato molto quelle successive nel campo della endocrinologia. Insieme al suo collega collaboratore, decise di non brevettare il risultato per far si che tutti i paesi, specie quelli poveri, potessero usufruire dei vantaggi medici di tale scoperta, senza dover investire denaro per acquistarne i diritti.

Una cosa mi è balzata agli occhi continuando la mia ricerca: il cognome di tutte queste donne è sempre unito a quello del proprio marito, addirittura in alcuni casi è presente unicamente il cognome del marito, ma nessuna è citata soltanto con il suo, come invece sto facendo io nonostante il motore di ricerca continua a presentarle alla vecchia maniera!

Il 1979 è l’anno della consegna del Nobel per la pace ad una donna straordinaria, conosciuta e amata in tutto il mondo, talmente rara nella sua grandezza morale da essere poi dichiarata santa dalla chiesa cattolica. Parlo di Anjeze Gonxhe Bojaxhiu, colei che tutti conoscono come Madre Teresa da Calcutta. Albanese di origine ma naturalizzata indiana perché è in India che volle vivere e operare, fino alla morte. Fu sua madre a scegliere il suo nome di battesimo che indica purezza e castità, ma poi volle aggiungerne anche un secondo che significa bocciolo. Fattasi suora già a 18 anni, girò un po’ per l’Europa a perfezionare la sua conoscenza mariana, ma poi fu mandata ai piedi dell’Himalaya per qualche tempo in contemplazione. Da lì la sua destinazione definitiva fu Calcutta. Il suo ordine non permetteva la vita esterna ma, le opere di beneficenza che iniziava a compiere e la necessità di uscire per cercare cibo per il convento, la portava a volte a girare per la città dove prese coscienza della grande povertà del popolo indiano.

«Quella notte aprii gli occhi sulla sofferenza e capii a fondo l’essenza della mia vocazione… Sentivo che il Signore mi chiedeva di rinunciare alla vita tranquilla all’interno della mia congregazione religiosa per uscire nelle strade a servire i poveri. Era un ordine. Non era un suggerimento, un invito o una proposta …»

La sua richiesta di lasciare il convento per essere tra i poveri fu molto ostacolata, ma dopo due anni ottenne il nulla osta. Iniziò con una misera capanna, ma mano però riuscì ad avere sempre maggiore spazio per soccorrere i più bisognosi, i più abbandonati, o come dico io quelli il cui nome non è inserito neanche nei censimenti. Con alcune volontarie creò la sua congregazione, le Missionarie della Carità, e fece confezionare gli abiti secondo la sua volontà: bianchi con una striscia blu di contorno in ricordo della casta degli intoccabili, la più povera dell’India. Tutto accresceva anno dopo anno, gli aiuti non mancarono mai, Teresa riuscì a dare dignità ai moribondi e agli esclusi. È per questo che ebbe particolare cura dei lebbrosi, tutti li isolavano e li scansavano, lei li abbracciava e se li portava con sé. Fondò le sue case ovunque e la sua fama si diffuse in tutto il mondo. Di fronte a lei, sempre più accartocciata in sé stessa per le precarietà in cui viveva, per le fatiche e le sofferenze mistiche, i più grandi della terra si inchinavano, muti. Non le sono mancati gli avversari, il bene attira sempre l’opposto, ma il silenzio fu sempre la sua migliore risposta, la più efficace, la più vincente.

Ancora per la pace, nel 1982 è la diplomatica Alva Reimer a vincerlo. Insieme a suo marito si è sempre battuta pacificamente per le conquiste sociali ma soprattutto per il disarmo, attiva politicamente anche oltre la sua Svezia, ed è stata la prima donna a ricoprire un ruolo di prestigio e di potere nell’Onu. Si battè sempre per le riforme che garantiscono la tutela dei diritti umani.

Soltanto l’anno dopo il Nobel per la medicina va all’americana Barbara Mc Clintock per aver ottenuto scoperte importanti nell’ambito della sua ricerca sulla genetica. Pur essendo molto apprezzata e pur avendo ricoperto alti incarichi di insegnamento, i suoi colleghi scienziati non riuscirono ad accettare le sue tesi e quindi ritenere veritiere le sue conclusioni circa la mobilità di certi cromosomi. Questa sorta di emarginazione durò per oltre trent’anni, fino a quando cioè si dovettero arrendere alla evidente validità della scoperta della Clintock, ma lei era già pensionata e lontana oramai da ogni cattedra o laboratorio. Insomma, come spesso accade, il riconoscimento del merito arrivò troppo tardi per dimenticare il dolore vissuto prima. Il Nobel le donò il trionfo su tutti.

Il 1986 è un altro anno italiano, il Nobel per la medicina lo vince Rita Levi Montalcini. Di origine ebraica, nasce da un padre matematico e da una madre pittrice, con la sua gemella che divenne pittrice anch’essa. Pur essendo nata agli inizi del novecento, ben lontana quindi dai tanti diritti acquisiti anni dopo, Rita da subito usò i cognomi di entrambi i suoi genitori, e non perdeva occasione di far conoscere e praticare gli insegnamenti democratici ricevuti in famiglia.«La mancanza di complessi, una notevole tenacia nel perseguire la strada che ritenevo giusta e la noncuranza per le difficoltà che avrei incontrato nella realizzazione dei miei progetti, lati del carattere che ritengo di aver ereditato da mio padre, mi hanno enormemente aiutato a far fronte agli anni difficili della vita. A mia madre debbo la disposizione a considerare con simpatia il prossimo, la mancanza di animosità e una naturale tendenza a interpretare fatti e persone dal lato più favorevole»Subito dopo la laurea in medicina indirizzò i suoi studi sul sistema nervoso. Allo scoppio della guerra, per sfuggire alle leggi razziali, si rifugiò con la famiglia in Belgio e, nella misera casa in cui trovarono accoglienza, Rita riuscì ad allestire nella sua cameretta una sorta di laboratorio per continuare le sue ricerche. 
Tornati in Italia appena fu possibile, Rita iniziò a correre nei suoi traguardi di scoperte sensazionali su alcune cellule del sistema simpatico, ne parlò in giro per il mondo tra conferenze e lezioni universitarie, fermandosi vari anni negli USA. Le onorificenze, gli incarichi dirigenziali e le premiazioni prima e dopo il Nobel sono numerose, tra queste anche la nomina a senatrice a vita della Repubblica Italiana. Muore a 103 anni senza mai aver smesso di studiare e ricercare.Ancora per la medicina, nel 1988 è l’americana Gertrude Elion che lo riceve condiviso con altri due scienziati, insieme hanno scoperto un metodo su come inibire gli agenti patogeni responsabili di tante malattie. Lo dobbiamo a loro se esistono farmaci utilizzati per la cura dell’aids, della leucemia, dell’artrite.Nel 1991 ritorna un Nobel per la letteratura, è Nadine Gordimer a meritarlo. Nasce in Sud Africa e questo sarà l’incipit per ogni sua battaglia per l’eguaglianza tra le razze e i sessi, e argomento quasi costante di ispirazione letteraria. Riceve premi e riconoscimenti e, in pari misura, fama e successo come scrittrice.Nello stesso anno il Nobel per la pace va a colei che forse più di tutte è divenuta famosa per le sue battaglie contro ogni razzismo e dittatura, Aung San Sun Kyi. Ecco, lei è un caso che non ha spiegazioni circa i suoi successi e la sua popolarità in confronto ad altre donne che hanno agito alla pari ma nessuno sa che sono esistite, cosa hanno fatto o se sono ancora in vita, altre donne altrettanto imprigionate o seviziate, e persino donne sequestrate e sparite nel nulla senza neppure la consegna di un corpo su cui i familiari piangere dopo averne dato dignitosa sepoltura. Lei invece rientra nel piccolo gruppo delle persone le cui azioni hanno avuto o hanno ancora una eco mondiale. La sua bio occuperebbbe più pagine. Birmania: suo padre viene ucciso dai militari, anni dopo si ribalta il regime e sua madre diviene un’alta figura politica rivestendo persino il ruolo di ambasciatrice, lei i classici studi poi proseguiti negli Usa dove incontra colui che divenne suo marito, due figli e un inizio di carriera universitaria. Torna in Birmania per accudire la madre malata e da lì gli incontri, il ritorno a realtà sconvolgenti, l’istinto di reazione, le manifestazioni pubbliche, gli arresti e i tentativi di bloccarla nella parole e nell’azione da parte della nuova  dittatura, in contrasto con i riconoscimenti che nel resto del mondo le venivano conferiti a supporto e sostegno di quanto faceva e diceva. 
Nel 2010 tutto si ribalta: nuovo governo, la liberazione dagli arresti che negli anni erano divenuti soltanto domiciliari, viene eletta parlamentare, può ritirare il Nobel, può essere presente a convegni e incontri internazionali. Ma il regime ritorna, di nuovo altre condanne per lei ma questa volta si tratta anche di denunce per corruzione, si levano voci di accusa anche fuori dalla Birmania da parte di altri difensori di diritti umanitari. Difficile esprimersi di fronte a tante vicende e vicissitudini, il tempo spesso fa chiarezza e, a volte, restituisce dignità e giustizia, o i reali profili degli individui in questione. Al di là delle ultime accuse, nessuno può inquinare né cancellare quanto Aung ha compiuto nei suoi anni di vita, e quanto dalle sue azioni ne sono scaturite altre di altrettanto beneficio per l’umanità repressa e bistrattata. In casi come questi però, nessuno ricorda che il sacrificio viene compiuto anche da altre persone che, pur restando nell’anonimato e nel nascondimento, offrono quasi quanto i protagonisti. Mi riferisco al marito di Aung ad esempio, e ai figli che non soltanto è da anni non vedono la madre, ma sono cresciuti senza di lei, nella paura costante di quanto alla madre potesse accadere senza poter fare nulla per evitarlo. Se lei è eroica, lo sono altrettanto marito e figli, ma per loro non c’è neppure la menzione circa la loro esistenza. Nel 1992 nuovamente un Nobel per la pace ad una donna battutasi per la fine dei maltrattamenti umani da parte di regimi autoritari. È la guatemalese Rigoberta Menchù che già all’età di cinque anni lavorava nei campi dove vide e subì gli sfruttamenti dei datori di lavoro, ma soprattutto la morte di due dei suoi fratelli causata dalle condizioni in cui per anni avevano lavorato. Si unì subito ai gruppi di ribellione con i quali pacificamente chiedeva umanità sul lavoro, il regime la condannò all’esilio, anche da lì però riuscì a far sentire la sua voce. Le onorificenze e i sostegni da parte di tante nazioni la resero sempre più forte, e la sua candidatura al Nobel fu molto sostenuta da politici e intellettuali italiani. Le sue ultime battaglie comprendono la richiesta di dichiarare crimini di guerra le azioni compiute contro il popolo maya del Guatemala. Nonostante avesse già ricevuto il Nobel, Papa Woityla nel suo viaggio in Guatemala non volle incontrarla. E non si sa perché.Un anno, due anni dopo e l’anno dopo ancora, tre donne hanno ricevuto il Nobel. 

Nel 1993 infatti lo vince Chloe Ardelia Wofford per la letteratura. Ha sempre scritto con lo pseudonimo di Toni Morrison, ogni suo lavoro è rivolto ad evidenziare l’argomento che più tiene a cuore: le persecuzioni razziali verso gli afroamericani. Ha subito successo, tiene conferenze, lezioni universitarie, riceve premi, vince anche il Pulitzer, infine il Nobel, eppure ha vissuto sempre nel Bronx, nella piccola casa che aveva affittato agli inizi del suo lavoro come editor per una casa editrice. E non ha mai voluto lasciare quel pseudonimo.Christiane Nusslein Volhard lo riceve per la medicina nel 1995. I suoi studi hanno contribuito molto alla maggiore conoscenza della mutagenesi embrionale. Nella sua Germania ha ricevuto i più alti riconoscimenti con il conferimento di due Croci al Merito tedesco e l’investimento a Dama dell’Ordine dello Stato. Ha creato una fondazione che ha lo scopo di aiutare le giovani studiose più promettenti e le donne – madri che lavorano nell’ambito della ricerca scientifica.Dodici mesi dopo e il Nobel per la letteratura va alla poetessa polacca Wislawa Szymborska. Lei che disse che la poesia piace a non più di due persone su mille, e purtroppo è vero, come rara eccezione lei ha invece venduto costantemente decine di migliaia di copie ad ogni uscita di un suo nuovo libro. Ha vissuto sempre a Cracovia e, come tutti, ha iniziato dal basso facendo lavori di segreteria, poi brevi articoli su quotidiani locali. La frequentazione di circoli intellettuali la conduce alla scoperta del suo talento, di pari passo al distacco verso quel comunismo che trovava eccessivo. Aderì a Solidarnosc per portare nella sua terra una sinistra moderata e democratica. Nonostante lo stile della sua poetica fosse all’apparenza semplice, a volte persino ironico, breve da non superare una sola pagina, riesce invece a trattare temi sociologici e umani sotto forma di elegante e pacata denuncia, ma comunque denuncia.Nel 1997 il Nobel per la pace va a Jody Williams, insegnante americana che già a trent’anni si interessa attivamente di aiutare le popolazioni vittime della guerra. Dagli aiuti sanitari in territori di guerra, visti gli orrori dei danni provocati dalle mine antiuomo, orienta il suo impegno via via sempre più in questo campo fino a creare una associazione che raccoglie fondi da utilizzare per la neutralizzazione di questi territori. rendendoli non più causa di menomazioni e morte.

L’iraniana Shirim Ebadi, avvocato, pacifista, musulmana, vince il nobel per la pace nel 2003. Dopo la laurea in giurisprudenza riesce a diventare magistrato, ma poi l’arrivo di un regime repressivo la costringe alle dimissioni, anche se le viene concesso di praticare la professione in privato. Si impegna per la libertà del suo popolo e delle donne iraniane, crea associazioni, lotta pacificamente ma viene regolarmente punita: accuse infondate, perdita della possibilità di lavorare, costrizione all’esilio. Lontana dal suo paese Shirim continua ancora la sua battaglia, pronta ad affrontare ogni processo ed ogni eventuale condanna.Nel 2004 avviene una cosa straordinaria, ben tre donne vincono il nobel.Per la medicina se lo aggiudica l’americana Linda Buck grazie alle sue ricerche e scoperte nel campo olfattivo. Appena dopo la laurea inizia ad interessarsi alla ricerca che diviene poi la sua grande passione, crea un laboratorio dove in pratica si sente a casa. E’ lì che decide di capire meglio come fa il nostro naso ad attivare nel cervello quel meccanismo che ci fa sentire gli odori. E ci riesce.Per la letteratura viene scelta Elfriede Jelinek. Sin da piccola, lei e il padre di origine ebraica, vivono succubi della moglie-madre austriaca, rigida e severa. Elfriede dimostra da subito una eccezionale intelligenza, dapprima come musicista e compositrice, precoce al punto che la sua genialità fu scambiata dalla madre per esuberanza bisognosa di essere corretta da uno psichiatra infantile, questo periodo la condurrà a continue fasi di isolamento dal mondo e ad una costante paura della folla. In contemporanea inizia la sua carriera di scrittrice,- La Pianista – fu scritto proprio per parlare della madre. Fino alla loro fine ha incolpato i genitori di averle tolto l’infanzia e l’adolescenza, la madre per averla imprigionata nella sua autorità e il padre per non averla sottratta a ciò. Scrive molti lavori teatrali, si impegna in politica contro la destra austriaca e si batte per i diritti umani non ancora riconosciuti, frequenta ambienti intellettuali e produce moltissimi scritti da cui sono stati tratti anche film. Il premio Nobel non lo ritira di persona a causa della sua paura nel trovarsi in mezzo a più di cinque persone, ma invia un messaggio di ringraziamento visivo e vocale. Questo premio fu all’epoca molto contestato, persino da uno stesso membro della commissione che addirittura si dimise, lo stile forte e contraddittorio, violento e atipico della Jelinek ha creato sempre fronti opposti: 
o la si ama o la si odia dichiarandolo senza mezzi termini, o la si incolpa di essere troppo politicizzata se proprio non ci si vuole esporre troppo.

E per la pace viene ritenuta meritevole l’africana Wangai Maathai, attivista per la protezione della natura e la lotta contro il disboscamento, grazie a lei in Kenya sono stati piantati ben 51 milioni di alberi che hanno evitato i disastri di imminenti erosioni e frane. Per la pace e la democrazia, specie nel suo paese, ha creato associazioni per un attivismo liberale e democratico.

Il 2007 è l’anno di Doris Lessing. La sua narrativa nasce dalla condizione di vita da europei trapiantati nell’Africa colonizzata, passa per la politica e il femminismo, ma poi si ferma ad un suo stile d’argomento e narrazione ben radicato. Romanzi, saggi, raccolte di racconti brevi, autobiografie, scritti teatrali e persino storie con i suoi amati gatti come protagonisti. Molto prolifica, indifferente alle imposizioni sociali di stile di vita e di moda, famosa la foto scattata da alcuni giornalisti davanti la sua casa all’annuncio del Nobel, lei si presentò spettinata e in pantofole. Muore a Londra all’età di 94 anni mentre ancora componeva e traduceva.

Dodici mesi dopo il Nobel per la medicina va a Francoise Barrè Sinoussi, virologa e immunologa dell’Istituto Pasteur di Parigi. In collaborazione con un suo collega avvia una ricerca che porta alla scoperta del virus dell’HIV causa dell’Aids, scontato che successivamente si interessasse anche della ricerca per un vaccino capace di sconfiggere la malattia. Nonostante ciò pare che sia tra i nobel meno conosciuti o meno ricordati.

Il 2009 è un anno storico, sono ben cinque le donne insignite del Nobel.

Per la chimica Ada Yonath: nasce e vive a Gerusalemme da padre rabbino di umili origini. Ciò nonostante potè studiare, si soffermò sulla cristallografia, e le sue ricerche sui ribosomi condotte in collaborazione con altri colleghi l’hanno portata al Nobel, e ad essere la prima donna israeliana a vincerlo. 

Per la medicina l’australiana Elizabeth Blackburn e la statunitense Carol Greider: si interessano alla ricerca sui cromosomi, le loro scoperte in collaborazione con un team di scienziati hanno portato finora grandi vantaggi per gli studi e i farmaci contro il cancro. Da lì pubblicazioni, premi e onorificenze culminate poi con il Nobel. 

Voglio evidenziare che la Greider riuscì nella sua impresa nonostante fosse dislessica e, a causa di questo, perenne vittima di bullismo.

Per la letteratura la rumena Herta Muller: di padre tedesco, lotta contro il comunismo di dittatura, e questo per anni le procura non pochi problemi, tali da costringerla all’esilio in Germania. Tutta la sua scrittura ha come fondo la sua esperienza e le sue irremovibili posizioni politiche. – Con la sua concentrazione della poesia e la franchezza della prosa, dipinge il paesaggio degli spodestati – Questa la motivazione del Nobel a lei.

E infine per l’economia l’americana Elinor Ostrom, prima donna a ricevere il premio in questo settore: i suoi studi hanno fatto accettare la sua tesi secondo la quale le risorse naturali comuni possono essere gestite con successo dalle persone singole piuttosto che dai governi o da società private, in poche parole  senza privatizzazione  è meglio.

Dopo due anni il Nobel, in questo caso per la pace, viene assegnato a tre donne: Ellen Johnson Sirleef, Leymah Gbowe, Tawakkul Karman per la loro battaglia non violenta a favore della sicurezza delle donne e dei loro diritti, e nell’opera di costruzione della pace. 

La prima, africana della Liberia, diventa addirittura Presidente della nazione grazie alle sue pacifiche battaglie contro la corruzione dei potenti precedenti, durante il suo mandato riesce a rendere gratuita e obbligatoria la scuola primaria, ad azzerare il debito che la sua nazione aveva con vari paesi esteri, e a far approvare la legge per la libertà di stampa.

La seconda è anche lei liberiana e impegnata nelle stesse lotte della sua connazionale, per gli stessi fini, con gli stessi metodi. Quando riceve il Nobel ha soltanto 39 anni.

La terza è invece una attivista politica dello Yemen, le sue battaglie pacifiste sono finalizzate ad ottenere la libertà di pensiero e di espressione attraverso la sua associazione – Giornaliste senza catene – e il non obbligo per le donne di indossare il velo, fosse anche quello non totale. All’arrivo del regime dittatoriale è costretta a fuggire da quella che sarebbe stata una sicura condanna a morte, trova asilo ad Istanbul e da lì, seppur con minacce e vari tentativi di violenze, riesce a proseguire la sua battaglia. Quando riceve il premio ha soltanto 32 anni.

Nel 2013 il Nobel ad una donna è per la letteratura, lo ha meritato Alice Munro, americana dell’Ontario. Figlia di piccoli agricoltori, riuscì comunque a portare a termine i suoi studi. Iniziò subito a scrivere racconti usando il cognome del marito, ebbe quattro figli, divorziò, si risposò ma decise di continuare a pubblicare con quel cognome, Munro appunto. Ebbe subito successo sia di critica che di vendita e fu ritenuta degna del premio in quanto maestra del racconto breve contemporaneo. All’annuncio del Nobel lei rispose con un suo annuncio, il ritiro dalla scrittura. Credo che abbia pensato che da quel giorno in poi avrebbero sempre giudicato con severità ogni suo scritto successivo, ha preferito così evitare critiche infondate o esagerate, o forse ha preferito evitare il temibile blocco dello scrittore. Nel 2014 sono due le donne insignite: Malala Yousafzai per la pace e May Britt per la medicina.

Malala è la più giovane nella storia del Nobel, credo sia difficile emularla in quanto aveva soltanto 17 anni quando lo ha meritato. Pakistana, a soli 13 invia un blog alla BBC in cui denunciava le ingiustizie commesse dal regime talebano nei confronti delle donne, e del diritto dei bambini all’istruzione che invece era stato quasi soppresso. Nel 2012 subì un attentato alla sua vita, il regime rivendicò tale atto, per loro legittimo, in quanto Malala era ai loro occhi una pericolosa peccatrice. Riuscì a salvarsi e l’anno dopo fu invitata a tenere un discorso al Palazzo di vetro di New York, lei si presentò indossando uno scialle appartenuto a Benazir Bhutto.

May Britt è la prima norvegese a vincere il Nobel, e lo condivide con il marito, insieme hanno effettuato numerose ricerche su alcune cellule celebrali dalle cui scoperte ne sono scaturite altre molto importanti per la medicina contemporanea.

L’anno successivo è ancora per le donne, due: Svjatlana Aleksievic per la letteratura e Tu Yuoyou per la medicina

La prima, bielorussa nata in Ucraina, inizia la sua carriera come giornalista e cronista di eventi cardine della nostra storia, dal 900 ad oggi, per poi approdare alla narrativa il cui argomento costante è la Russia postcomunista. Nella sua Ucraina non detiene consensi, molti nazionalisti però la contestano aspramente.

La seconda, farmacista cinese, vince il premio per essere riuscita ad estrarre, da una pianta medicinale cinese, una molecola divenuta poi essenziale per guarire dalla malaria. 

Nel 2018 abbiamo di nuovo un trio femminile:

Donna Strickland, canadese, lo vince per la fisica, grazie ai risultati delle sue ricerche sui laser a corto raggio;

Frances Hamilton Arnold, americana, lo vince per la chimica, grazie ai risultati delle sue ricerche su enzimi e anticorpi.

Nadia Murad, irachena, lo vince per la pace. Un terribile giorno del 2014, lei e altre quasi 7.000 donne furono sequestrate dai guerriglieri dell’ Isis che irruppero nel loro villaggio dopo aver ucciso 600 uomini, tra cui i suoi sei fratelli. Dopo aver subito per tre mesi sevizie e violenze di ogni genere, riuscì a fuggire e trovare accoglienza in un campo per rifugiati, infine il viaggio della speranza in Europa. La sua lotta e il suo impegno arrivano alle Nazioni Unite, da lì il riconoscimento del Nobel. Eppure tuttora vive in stato di continue paure e minacce. 

Nel 2019 un duo:

Olga Tokazczuck, polacca, lo vince per la letteratura. Molto commerciale la sua carriera, grandi vendite qualsiasi cosa scriva, evento raro questo quando si parla di appartenenza alle sfere intellettuali, certamente il suo impegno nella lotta contro le discriminazioni verso ogni tipo di minoranza ha contribuito molto alla sua notorietà.

Ester Dulfo, francese, lo vince per l’economia grazie ai suoi studi su una ipotetica ma attuabile pianificazione economica atta a lottare contro la povertà globale.

Come si può notare, andando avanti con gli anni, le donne iniziano ad essere  vincitrici, o meglio la commissione composta quasi totalmente da personalità maschili, ha allargato lo sguardo verso la folla femminile di alti meriti degni finalmente di essere riconosciuti. Ma siamo dovuti arrivare al nuovo secolo, e dopo un secolo dalla costituzione del premio!

E nel 2020 ne abbiamo addirittura quattro.

Louise Gluck per la letteratura. Nasce a New York da una famiglia di immigrati ebrei ungheresi. Le vicende dolorose dell’infanzia la portano ad anni di cure psichiatriche. Queste e altri dolori, che sempre si alterneranno ai suoi successi, sono alla base della sua poetica: prolifica, intimistica, dai temi profondi e dolorosi, dalla interiorità perforata.

Andrea Ghez, per la fisica. Astronoma americana, i suoi studi hanno dimostrato la presenza di un buco nero al centro della via Lattea.

Emmanuelle Charpentier, per la chimica. Francese, dopo la laurea si sposta molto in Europa per tenere conferenze e lezioni universitarie. Riesce a scoprire come utilizzare un determinato genoma per ottenere risultati in campo biomedico.

Jennifer Doudna, anche lei per la chimica. Americana, scopre una tecnica che porta alla modifica del genoma.

L’anno scorso lo vince Maria Ressa per la pace. Giornalista filippina naturalizzata americana, inizia utilizzando la stampa per propagandare i danni delle droghe e l’esortazione a proseguire nella lotta contro i trafficanti. Ma poi i suoi articoli si estendono ad altre argomentazioni umanitarie come la pace e la libertà di espressione. Nonostante il Nobel e altri premi ricevuti negli anni, ha dovuto affrontare finora undici processi, pagare cospicue cauzioni per otto volte, e l’arresto per due volte.

E giungiamo al 2022, l’anno in corso ancora per poco, che vede l’ottantaduenne Annie Ernaux vincere il Nobel per la letteratura. Francese della Normandia, fa l’insegnante e non disdegna di militare come femminista, scrive i suoi primi romanzi che hanno subito successo, lascia l’insegnamento, acquista popolarità ma perde suo marito, non reggeva più la sua alta personalità. E’ una narratrice di vite: la sua, quella della sua famiglia, quella degli altri che lei osserva e trasporta nelle sue pagine. La motivazione del Nobel: – per il coraggio e l’acutezza con cui svela le radici, gli allontanamenti e i vincoli collettivi della memoria personale –

Ecco, ho terminato.

Ho letto di queste donne, delle loro vite, dei loro limiti, delle loro fobie o paure, delle loro coraggiose iniziative, delle loro difficoltà di vita, dei loro dolori, malattie e persecuzioni, dei loro successi ma anche degli insuccessi, dei sassi da scavalcare ogni volta che hanno agito, del maschilismo subito senza possibilità di difesa, delle paure verso il loro domani cui potevano non esserci …

… delle loro qualità umane e intellettive, dei loro coraggi, delle loro sfide senza l’utilizzo di lame insanguinate, della loro dignità …

… del loro andare avanti senza neanche parlare per difendersi, del loro non lamentarsi per i non successi pur sapendo che li meritavano … della loro elevatezza.

L’applauso care donne il mondo ve lo ha fatto e continuerà a farlo, lo ascoltiate o no, e forse persino l’inchino perché, senza anche soltanto una di voi, questo nostro mondo sarebbe enormemente misero e vacante, perché senza voi non sapremmo chi prendere a modello di esempio, perché senza voi non sapremo da chi farci difendere, da chi ottenere qualcosa che ci compete, da chi farci erudire con parole che formano cultura.

E ci sarebbe ancora tanto da elencare, ma a voi basta il Nobel, e a noi l’avervi.

Eppure una nota devo aggiungere, ed è rivolta a tutte le altre che non hanno vinto, né il Nobel né altri premi di pari livello: siate soddisfatte di voi, lo avreste meritato ma la pallina della roulette si è fermata su altri nomi, e questo ahimè spesso lo decide soltanto la casualità della sorte. Per me siete vincitrici alla pari!

Annamaria Porrino, novembre 2022

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