Carlotta, il grande angelo

Carlotta, il grande angelo

Vive da violinista, muore da santa.
Nella santità cioè della accettazione che è l’alto traguardo cui ogni perfetto cristiano dovrebbe giungere. Ma, per l’appunto, bisogna arrivare alla perfezione della fede che consiste nell’affidamento alla volontà di colui che ci ha dato la vita, il suo dono in prestito per noi, e come ci dà la vita ci dà anche la fine di questa vita, transitoria per giungere all’altra che è invece definitiva, nei suoi tempi che spesso non sono i nostri.
Accetto, e quando lo pronunci dopo averlo maturato nel cuore e nella mente, ti lasci andare alla tua non volontà e pronunci quella frase che tante volte hai ripetuto meccanicamente nel Pater Noster ma che solo in quel momento ne comprendi il vero significato: sia fatta la tua volontà.
Già all’ultima sillaba lasci la terra del tuo transito passeggero ed entri nella beatitudine dei beati, anche se ancora in un corpo sofferente che stai lasciando alla terra già nuda di te.
Per divenire oltre, per divenire altro.

Carlotta Nobile, di nome e di fatto, 1988 / 2013

Ragazza prodigio, per i suoi talenti e per l’età in cui ha raggiunto i suoi alti traguardi innanzitutto di violinista: a soli 17 anni si diploma in violino presso il Conservatorio di Benevento, sua città di nascita; poi si stabilisce a Salisburgo per perfezionare i suoi studi sotto la direzione del maestro Pierre Amoyal, e poi a Londra con il maestro Eugene Sarbu. Da lì i concerti, i riconoscimenti, i premi, in breve tempo i grandi maestri d’orchestra riconoscono il suo talento e la vogliono con loro. Ad appena 21 anni viene nominata Direttore Artistico dell’Orchestra da camera Accademia Santa Sofia di Benevento. 

Carlotta ama tutto ciò che è bellezza nell’arte, e decide di studiarla.

Storica di fresco laureata, se ne va a New York e poi a Cambridge per specializzarsi attraverso due master. Un tale talento non poteva non possedere anche l’arte della scrittura, ed ecco che nel 2008 pubblica – Il silenzio delle parole nascoste – e nel 2012, ultimo tempo da giovane donna non ammalata, pubblica  Oxymoron – 

Aveva preparato anche un altro libro, non ha fatto in tempo a pubblicarlo.

Suo padre Vittorio è magistrato, da generazioni di giuristi discendenti dai Siconidi, da sempre posseggono una delle chiavi dell’urna contenente le spoglie di San Bartolomeo Apostolo nella omonima chiesa di Benevento.

Adelina Lepore, sua madre, eredita dalla sua famiglia l’amore per la musica che poi trasmette a Carlotta. Molto originale una usanza familiare, passata da generazione a generazione, e cioè che al nome di battesimo, maschio o femmina non fa differenza, si fa seguire anche i nomi dei re magi, quindi Carlotta diventa Carlotta Maria Guglielmina per tramandare nomi familiari e poi Gasparrina Melchiorrina Baldassarrina. All’atto del battesimo, dopo questa lunga fila di nomi, il sacerdote volle invocare il nome di una santa che potesse proteggere la piccola ma, poiché Santa Carlotta non esiste ecco che disse – Beh, Santa Carlotta se esisti prega per lei – Alla luce del poi potrebbe apparire come un presagio, se non addirittura una profezia. 

Nel libro – In un attimo l’infinito – insieme alla sua storia di vita sono raccolte parti estrapolate dai suoi scritti che, messe insieme, ci conducono al percorso che Carlotta compie dall’inizio della malattia in poi.

Sempre un passo indietro – disciplina dentro, amore fuori – erano i motti preferiti in famiglia, e Carlotta li ha fatti suoi, sempre.

Da bambina passava ore a dipingere ma a modo suo, e cioè mescolava strisce di colore fino a far diventare il foglio bianco uno scoppio di colori tra i quali ne  faceva dominare uno, questo indicava il suo umore di quel giorno. E quando finiva non voleva lavarsi le mani perché voleva – restare colorata – diceva. Ed è per questo che poi quei fogli li regalava, perché voleva donare colore agli altri.

O forse voleva donare i suoi colori agli altri.

L’uso del colore è stato caratterizzante anche da adulta, persino quando scriveva utilizzava penne colorate. Scontato che con tanta passione per il bello, amasse anche leggere, e molto, accumulava libri, ognuno le aveva dato qualcosa.

Non c’è dubbio che avesse ereditato dalla madre la capacità di suonare il violino, dote che manifestò subito sin da piccola. 

Sullo specchio della sua camera c’è ancora la scritta – spalle e gomito giù –

Circa l’emozione che viveva durante i suoi concerti, lei stessa scrive: 

“Il violino mi sostiene, mi sussurra note che gli vengono suggerite dalle mie dita. Sul palco con un vestito nero lungo, con mille persone di fronte a me, puntini indefiniti e lontani per ricevere un’iniezione della mia musica, con le gambe che tremano e la testa solida e determinata. Come sempre. Con il terrore della prima nota, con la soddisfazione dell’ultima arcata, con quegli istanti di assoluto silenzio che preludono gli applausi”

Desiderava tanto avere un fratellino e, durante un pellegrinaggio a Cascia, e Carlotta aveva soltanto sette anni, si inginocchiò dinanzi la teca della santa e le chiese un regalo: un fratello. Quando poi questo fratello nacque, fu lei stessa a volere il nome di Matteo. Un legame intenso e raro li unì sin da subito, prezioso per entrambi, nella vita e oltre, seppur vissuta in maniera diversa e in luoghi diversi.

Della sua vita di adolescente, dei suoi progetti, dei suoi successi e traguardi ancora da raggiungere, della sua bellezza, del suo sorriso, del suo essere come tutte le ragazze della sua età compresi i sogni, ne parlerà mia figlia, sua amica.

Io salterò dalla bambina prodigiosa, alla ragazza già di successo che si ammala, e questo lo scopre da un giorno all’altro. Da quel giorno all’altro Carlotta passa in un’altra fascia di viventi, quelli sospesi, quelli che non sanno se vivranno o no, quelli il cui nome viene associato ad un altro che è quello della malattia che ti ha colpita, a sorpresa, come se ti avesse puntato da lontano e poi si è presentata quando ha deciso che era il momento di farsi conoscere: tumore, cancro.

Nel mezzo di questo infernale girone dantesco avviene la sua trasformazione, l’abbandono lento delle sue solite vesti per indossarne altre a lei fino ad allora sconosciute, cui prima riuscirà ad abituarsi, poi ad accettarle grazie ad un’altra grandissima dote che non sapeva di possedere: la Fede.

Nel 2012 un melanoma entra di prepotenza nella sua vita, ma lei non si ferma, alterna cure a concerti, non permette al tumore di farle posare il violino.

Un articolo scritto su di lei, pubblicato su La Stampa diceva – più le cure la sfibravano, più la musica diventava la sua ribellione al destino, e mai con uno sconto di qualità – 

Subito, ma in forma anonima, apre una pagina fb dal titolo – Il cancro e poi… – Non sapeva che sarebbe nata una vera e propria comunità, cresciuta fino ad arrivare a migliaia di persone malate di cancro che si riconoscevano nei suoi pensieri scritti, li condividevano, ne discutevano,  e così si sostenevano.

“Io non so più neanche quanti centimetri di cicatrici chirurgiche ho, ma li amo tutti, uno ad uno, ogni centimetro di pelle incisa che non sarà mai più risanata. Sono questi i punti di innesto delle mie ali”

La musicista non vuole mollare e così, tra una terapia e l’altra, tra un ricovero e il successivo, fa concerti, aderisce al gruppo Donatori di Musica, e suona in duo con il pianista Martin Berkofsky per portare musica nei reparti oncologici.

Il violino è lo stesso, ma è il pubblico che è cambiato.

Prima era un pubblico intenditore di musica che, elegante, si dirigeva in una sala altrettanto elegante per ascoltare una giovane violinista e, da intenditori, giudicarne le qualità professionali, prendendosi anche la bellezza del suo suono d’arte. Ora si tratta invece di un pubblico di malati, in pigiama e vestaglia, seduti in una sala d’ospedale ad ascoltare la musica di una giovane musicista malata come loro, molti non saranno esperti di musica ma tutti si commuovono perché in quelle note hanno raccolto tutto l’amore che Carlotta spandeva a loro.

Anche gli applausi quindi divennero diversi, i primi erano di ovazione ad una giovane di talento, i secondi erano battiti di mani bagnate da lacrime di commozione, applausi di gratitudine verso chi portava loro un’ora di evasione, un’ora  di armonia, un’ora di vita.

Come tutte le persone che si ammalano gravemente, anche lei si rende conto che tutti quei gesti quotidiani che si danno per scontato che si facciano non lo sono affatto, e che si dovrebbe avere sempre la capacità e la volontà di considerarli miracoli per cui ringraziare ogni giorno, perché nessuno può assicurarti che quello che hai fatto oggi potrai rifarlo anche domani e domani ancora.

Sul web Carlotta si rende conto che si parla soltanto di dolore, lei invece vuole usare questo grande mezzo di comunicazione per infondere coraggio, per essere anche ironica e autoironica, per parlare anche di altro la vita ancora le dava. 

Ed ecco che fu quasi scontato che aprisse un nuovo genere di dialogo, un blog che intitolò –  Il cancro e Poi… – con l’intento di estendere a quante più persone possibile ogni sua esperienza interiore, mantenendo sempre la forma anonima. 

“E Poi… tutto ricomincia daccapo, ogni conteggio nella vita si azzera. Lotto per il mio e Poi… Siamo noi a dover mostrare all’altra fetta del mondo quanto sia meravigliosa e degna di essere vissuta la vita… E poi senti che ci sei stata per 22 anni nell’altra fetta del mondo, il mondo dei sani dove si rimpiange il passato e si aspetta il futuro, dove si rincorre la vita in un frenetico susseguirsi di progetti e sogni, dove la felicità è nelle grandi cose e non è mai abbastanza. Poi un giorno qualunque sei passata dall’altro lato. Questa fetta di mondo è il luogo in cui esserci, e stare bene è il più grande miracolo. Qui a volte ti guardi allo specchio e vedi qualcuno che non eri mai stata. E ti viene da amarti come non avevi mai fatto… Io me ne sono già andata, cammino nei ricordi vestita di nebbia e silenzio, la storia non mi attraversa, come una mano vuota tesa verso il nulla. Io me ne sono già andata in quel luogo che non esiste, cullo il mio nulla come un bimbo indifeso…”

All’inizio la sua malattia si era presentata con un neo sulla gamba, lo vide modificato, ne parlò in famiglia e subito le analisi, da esse la diagnosi, la prima operazione e pareva tutto risolto. Nel 2012 invece quel tutto risolto si ripresenta in un’altra veste, più aggressiva, e quel tutto si manifestò pericolosissimo.

“Il cancro è l’olocausto del XXI secolo ma anche il più grande maestro che si possa avere nella vita… Cancro, tutta una vita iscritta nell’ottica di questa parola, il più grande terrore, la più grande lezione di vita. Forse in fondo un dono… Guardo le mie foto da bambina e mi sento figlia di me stessa, desiderosa di proteggere quella creatura indifesa per avvertirla di ciò a cui sarebbe andata incontro… Sto facendo amicizia con me stessa, mi coccolo, so fin dove posso spingermi e quando devo dire basta, io non ho mai saputo dire basta, era sempre una corsa contro il limite e oltre il limite…”

Lo sviluppo della convivenza con la malattia è un percorso che Carlotta vive giorno per giorno in maniera molto simile agli altri ammalati che non sanno se guariranno  o moriranno. Ti senti sospeso in un limbo, non appartieni più ad una categoria ma neanche completamente all’altra, svolgi la quotidianità in apparenza  quasi come sempre ma sai bene che non è così, che non è normalità, che tu non sei più quella di prima, alterni tristezza a briciole di serenità, speranza e paura, ti senti un ibrido che ha come nome il nome della malattia che ti ha colpita alle spalle mentre tu eri distratta dalla vita dei sani.

Poi ad un tratto Carlotta scrive – Passare dalla domanda perché a me? Alla domanda perché non a me? –

È qui che è racchiusa l’accettazione, era arrivata a capovolgere il tormento.

E in questo essere quasi pronta ad un finale non voluto, ecco che avviene l’incontro, all’apparenza casuale ma non lo era affatto, quel Gesù che aveva pregato e obbedito come una credente qualsiasi, si presenta a lei perché sa che lei può arrivare ad amarlo come Lui desidera.

La distanziano pochi mesi dal suo fine vitae, Carlotta è a Roma e desidera confessarsi, un bisogno impellente che deve assolutamente saziare. Si mette in cammino per cercare una chiesa aperta e la trova, una soltanto lo era, la chiesa di San Giacomo in pieno centro. Qui incontra il parroco, don Giuseppe Trappolini, sembrava proprio la stesse aspettando, e iniziano a parlarsi. Carlotta uscì diversa, come se avesse lasciato la Carlotta terrena in quella chiesa e ne fosse uscita già come una creatura che è oltre il mondo dei viventi.

“Perché tutto quello che stai vivendo ti verrà un giorno riscattato… Perché il modo che hai ora di guardare la vita non potevi che raggiungerlo così… In un attimo capisci che è stato proprio quel cancro a guarirti l’anima, a darti la consapevolezza di essere diventata chi per una vita intera hai fatto di tutto per essere e non eri mai stata: una donna serena, capire che è stato proprio il cancro con le sue asprezze a portarti infine alla luce”

Nella primavera del 2013 Carlotta si risveglia da una grave crisi che l’aveva colpita mentre era ricoverata a Milano, e afferma di aver vissuto una esperienza di fede: – Ho riaperto gli occhi ed ero un’altra, e questo è un miracolo

Ammette a se stessa di essersi ribellata alla malattia incolpando Dio di averlo permesso, a lei, proprio a lei che non lo meritava. 

L’umanità prevale, il desiderio di vivere prevale, è la sua mente che lo chiede ma, nel tempo che le viene ancora concesso, è il suo cuore che inizia a prevalere sul resto e la porta dall’altra parte cosicché possa vedere. Cosa? La verità.

“Ero arrabbiata ma Dio ha voluto regalarmi lo stesso la fede, ha avuto pietà di me lo stesso e mi ha fatto capire tutto. Se dovessi morire domani, morirei come la persona più felice del mondo. Prego dalla mattina alla sera che questa serenità ce l’abbiate anche voi, ma soprattutto tu mamma”

Ecco le parole di serena accettazione e il pensiero d’amore verso i suoi cari che sa vivranno un dolore atroce, non prega più per lei ma per loro, l’angelo ha già iniziato la sua nuova vita, o meglio la sua nuova missione.

A maggio 2013 le metastasi l’avevano invasa tutta, lesse la sua cartella clinica e non disse nulla, nessun commento, nessuna reazione, ma si fece portare a casa, via da quell’ospedale che ormai non serviva più.

Eppure è proprio lì che viene scattata una foto che rimarrà per tutti la testimonianza del grande amore che la legava a suo fratello Matteo, all’epoca adolescente. Quando Matteo ricorda quei momenti di grande commozione, dice: “Mi abbracciò come mai mi abbraccerà più nessuno”

In quell’abbraccio non c’era soltanto un addio, il dolore del distacco, la consolazione di chi sa che sta per morire e vuole lasciare un suo ultimo contatto fisico, no c’era di più, c’era già il conforto di un angelo verso un essere umano, lei sapeva che andava incontro alla beatitudine ma che i suoi amati sarebbero rimasti nel dolore dello strazio.

E Carlotta cambiò l’immagine di fondo del suo computer: una frase scritta in grande – Se è la strada più difficile, allora è quella giusta – e sulla frase era disegnata una farfalla.

Un’altra foto volle fare con Matteo, per lasciare a lui ritratti di forza e di gioia. Uscendo per l’ultima volta dall’ospedale rifiutò la sedia a rotelle, si alzò e si fece fotografare con lui così, come se fosse guarita.

Matteo dice: – Lei sorrideva e sorridevo anche io, nei suoi occhi c’era il desiderio di ibernare quel momento per sempre e di regalarmelo negli anni a venire. Quella foto era un trofeo per entrambi: lei di lì a poco avrebbe portato a termine la sua più grande opera d’arte, la sua vita, io avrei avuto sempre la prova più grande, c’ero, e nessuno potrà mai togliermi da lì. E poi mi portò nella cappella a pregare con lei, lei non toglieva lo sguardo dal crocifisso. Negli ultimi mesi pareva distaccata dalla sua condizione, soffriva tremendamente ma non si lamentava, sorrideva, pregava e diceva grazie a tutti per ogni cosa –

Una sera Carlotta chiese ai suoi di pregare insieme quella che per lei e per la nostra fede è la preghiera per eccellenza, il Pater, e lo fecero tenendosi per mano formando un cerchio. Il giorno prima della morte non volle più prendere medicine, ripeteva continuamente  – è finita – Quando si accorse che il distacco stava per giungere, non soltanto salutò tutti, ma li ringraziò per ogni cosa avevano fatto per lei. Nella notte tra il 14 e il 15 luglio 2013 suo padre fu svegliato dalla voce di Carlotta che diceva, col suo fiato ormai corto e gli occhi verso l’alto, – Signore ti ringrazio –  Lo disse tre volte e li lasciò. E ci lasciò.

L’annuncio della sua scomparsa riempì testate giornalistiche e televisioni anche estere, il web scoprì che era lei l’anonima che scriveva quelle frasi che ammaliavano tutti, il mondo della musica piangeva un grande talento, la comunità di fedeli iniziò a vedere in lei un esempio da cui attingere forza e fede.

La storia di Carlotta è stata tradotta in tante lingue e si è diffusa in tanti paesi del mondo, finanche in India. Sempre più numerosi i riconoscimenti postumi e le cose intitolate a lei, tra cui ovviamente varie sale in reparti oncologici. Nella chiesa romana dove sicuramente è avvenuta l’accettazione della sua non guarigione, c’è uno spazio tutto dedicato a lei con una scultura realizzata da Antonella Boscarini che rappresenta un sandalo francescano, la targa sulla scultura è intitolata Passo dopo Passo. Parallelamente al suo lascito laico e artistico, per Carlotta inizia il percorso di fede, teologi e sacerdoti, vescovi e parroci iniziano sempre più a parlare di lei e della sua fede, la porgono come esempio, e si raccolgono testimonianze sul bene che lei continua a fare, a produrre. Chiunque legge di lei trova giovamento per il proprio percorso di vita, chi è ammalato tenta di imitarla per dare pace al proprio tormento, altri la pregano, chiedono la sua intercessione.

E nascono fiori di vita o di vita nuova, e questi fiori si devono a Carlotta.

Scontato quindi che la Chiesa Cattolica ufficializzasse la sua attenzione verso Carlotta che ha portato a dichiararla Testimone di Fede, una giovane straordinaria donna che aveva una fede comune come tante, che credeva di suonare il suo violino, sposarsi, avere figli, leggere, viaggiare, amare, mentre invece era destinata alla santità e non lo sapeva. Le circostanze della vita, l’incontro con le persone giuste, l’affidamento, l’amore del Cristo che si è palesato quando lei gli ha fatto spazio, hanno allontanato la terra e le hanno aperto il paradiso, lei ha detto si e ci è entrata trionfante.

“E Poi ci sarà il mio Poi, ne sono certa”

Era questo il suo vero poi, e lei lo aveva capito, un Poi con la lettera maiuscola.

Carlotta Nobile, la meravigliosa creatura trasformata in testimone di fede.

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Carlotta entra nella sua nuova vita dalle porte spalancate, l’attendevano esultanti. A noi, oltre tutta la sua eredità artistica, morale, spirituale, lascia una trinità accettante: il padre, la madre, il fratello. Tre cuori sofferenti uniti nella volontà di Dio cha ha tolto loro una figlia e una sorella rara, per dare a tutti, compreso loro, i frutti santi del loro angelo trasformato. Anche loro sono divenuti una croce vivente, si sono lasciati crocifiggere dalla volontà di Dio, pronti a risorgere nella vita nuova del loro giglio. Io vedo la croce di Carlotta, quella che ha lasciato sulla terra, ai due lati sono crocifissi i genitori, inchiodati alla volontà di Dio che hanno accettato ma che prima hanno tentato di cambiare; nella parte bassa è inchiodato Matteo che deve reggere sia la croce ereditata che le creature inchiodate sopra. In alto Dio. Tolta la corona di spine dal capo di Carlotta, Dio l’ha sostenuta fino a quando lei stessa si è tolta l’ultima spina, e lo ha fatto quando gli ha detto – si, prendimi – e Dio l’ha amata accontentandola. 

E il capo sofferente non c’è più, non c’è la corona del martirio terreno, e non c’è più sangue, quello che invece resta ai due lati, madre e padre hanno dovuto fermare i rigoli prima di riuscire a staccarsi i chiodi e conservarli come reliquie.

E lì restano, senza più sangue ma inchiodati alla vita per loro voluta da chi ha voluto Carlotta. All’estremo basso il caro Matteo, piccolo nell’età, fragile nell’uragano doloroso che lo investiva, ma con lui c’era lei. È così che anche lui ha abbracciato quella croce, l’ha innalzata e ha urlato il suo si, cosciente che a vita dovrà reggerla e con essa i suoi genitori orfani quanto lui di una parte di cuore non più con loro, ma che è una parte santa che per l’eternità spanderà la sua beatitudine alla umanità accogliente, e lui ne sarà testimone, un giorno l’unico testimone di tanta grandezza. E la croce è completa: c’era una volontà di Dio accettata dalla creatura scelta, entrambi in alto su tutti; tre inchiodati, due genitori destinati alla scomparsa prima dell’ultimo che sta giù a reggere ogni cosa e a passare il testimone di questa croce di privilegio. Quattro persone scelte, quattro si, ognuno diverso dall’altro ma tutti per un unico scopo: testimoniare l’adesione alla volontà di Dio anche quando essa è contraria alle nostre volontà perché convinti, e Carlotta lo sta dimostrando da anni, che in ogni progetto di Dio c’è un senso, un valore, a noi tocca soltanto aspettare per capirlo. Loro lo hanno fatto grazie a Carlotta che li ha preceduti e poi li ha attesi, ha atteso che giungessero al loro traguardo, trionfando con loro all’arrivo.

Perché arrivo c’è stato.

Annamaria Porrino, marzo 2021

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Carlotta, l’amica che mi ha insegnato

C’è una certezza, una delle poche appannaggio della dimensione terrena, che l’esperienza quotidiana tra le persone, mi restituisce: alcuni di noi, sono dotati di luce. Sono quelle donne e quegli uomini capaci di dare dimensione multipla a un incontro, di togliere ombra se camminano, di far sorridere i muri di una stanza se ne varcano la soglia.

Carlotta era una di loro.

È difficile fissare nella memoria il momento esatto della nostra prima conoscenza: è come se Carlotta abitasse da sempre il profumo dei miei ricordi. Crescere nella dimensione della provincia è stata la nostra strada di congiunzione. C’è come una aneddotica precisa che accomuna l’intera nostra generazione: le piazze affollate, il mitico liceo Giannone, i sogni di chi già procedeva col verbo declinato al futuro prossimo. Carlotta camminava con una grazia che le era propria, l’eleganza genetica, la chioma bionda che solo il movimento del braccio per la sua musica riusciva a scomporre. Di poche parole, ma sempre quelle giuste. Soffice e tenace, avviluppata al suo strumento che era più di un avamposto. Il violino viveva come parte del suo corpo, quel corpo che neppure lo strazio ha reso immemore di tanta bellezza.

Carlotta possedeva un talento che tutti le riconoscevano. 

E lei, scuotendo la testa col sorriso sincero che ho ancora vivido negli occhi, sapeva che ogni complimento ricevuto era movente di un’ulteriore spinta a cercare quel dono dentro di sé, e a dargli spazio. Eravamo ragazze permeate da un entusiasmo contagioso, io e lei, per questo ci bastavano pochi sguardi di comprensione. Affamate, consapevoli, vitalissime. Gli anni del liceo prima, e il periodo universitario dopo, ci vedevano correre, non camminare, per binari paralleli.  Tanto studio, sempre un’idea per la testa, il treno Benevento-Roma con la valigia pronta, la voglia di scoprirsi pronte alle sfide, l’appartenenza a un territorio da concimare. Carlotta diceva “grazie” sempre. E, a quell’età, il vocabolario dei sentimenti è più frequentato dagli imperativi che dai condizionali di gratitudine. 

Ma Carlotta sapeva, forse ha sempre saputo. Non un attimo sprecato.

Quando misi in piedi la mia prima trasmissione televisiva, con l’obiettivo di intessere domande e risposte secondo un mio preciso percorso, lei fu tra le prime ospiti.  Fa tenerezza, riguardare le foto di noi. Donne, giovani, amiche, con la certezza degli anni ancora da vivere. Carlotta portò il violino, il primo libro editato, quella sua luce. Aveva con sé già la storia dei palchi conquistati, della laurea guadagnata con lode, delle notti insonni passate a esercitare la sua infinita bravura di musicista rigorosa, la libertà dell’anima sua. Ci teneva unite l’affetto nutrito da una profonda coscienza: la pervicacia è madre della felicità. Della malattia parlammo poco: c’era, e tanto mi bastava. C’era come ci sono le cose che capitano, gli accidenti, gli incidenti, le ferite che il tempo guarisce. Non la vidi quando fui io a presentare il mio primo libro, perché il cancro la costringeva al letto, ma anche in quella circostanza, il tempo a nostra disposizione mi appariva non finito, ininterrotto.  

Il cancro, lei, lo chiamava per nome. E sapevo lo avrebbe governato.

Quando tutti noi fummo raggiunti dalla notizia, faceva molto caldo. E io ero sulla linea gialla che separa la banchina dalle carrozze. Quel viaggio bagnato dalle lacrime, col respiro corto, mi riappare nella mente come la cesoia tra la presunzione di immortalità, che ogni ragazzo possiede, e la realtà del disegno della vita, che nessun uomo detiene davvero. Eppure, Carlotta ha avuto la forza di far discendere ogni sospiro di dolore, e lasciare il segno del riso stampato nel volto di chi la ricorda.

La seconda Carlotta, quella del Cielo in festa, ha una presenza fisica che nessuno avrebbe immaginato. Ai funerali non c’ero, perché volevo vivere quel momento in solitudine, a distanza: venivo raggiunta da foto e racconti, non dal pensiero che il suo passaggio fosse esaurito davvero. Il resto è cronaca: decine di migliaia di persone nel mondo sono state da lei raggiunte, colpite, conquistate.  La sua Fede esemplare, cristallina, altissima ha nutrito anche la mia, che trova nei luoghi più inusuali messaggi del suo fiato: piume bianche, che scopro io sola. A rileggere le parole della sua agonia e della sua rinascita, sento ancora qualche lacrima trattenuta negli occhi. Ma è grazia, mai rimpianto. Come possa una donna sola, in così pochi anni, lasciare una così profonda e nitida impronta è dono di Dio. Dono che lei ha attraversato a piedi nudi, coraggiosa come una eroina, autentica come un cuore vivo. Le lunghe chiacchierate che oggi io stessa ricerco con sua madre Adelina mi annodano a un senso profondo del mio “credere”. 

Custodisco ogni momento postumo, ogni traccia condivisa con la sua marmorea famiglia, ciascuna delle immagini che di Carlotta possiedo.

Avevo un’amica, oggi è ancora qui per me.

Melania Petriello, marzo 2021

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2 commenti su “Carlotta, il grande angelo”

  1. Buongiorno sono Francesca e Carlotta da diversi mesi è diventata la mia migliore amica, ed inoltre inaspettamente anche la mia insegnante di violino.Ho 45 anni e mai studiato musica ma nel 2006 al mio primo pellegrinaggio a Medjugorje ascolto la musica del suono del violino, nella quale identifico la voce della Madonna…e subito esprimo il desiderio di volere imparare per Lei. Passano gli anni ,molti ancora i pellegrini in quel luogo santo come in altri luoghi di apparizione mariana nel mondo. Nel 2017 arriva il tumore al seno della mia mamma,non so come,ma il dolore fa nascere in me il desiderio di lode in canto…compongo un canto dedicato alla Madonna…un mio amico pianista ne realizza gli arrangiamenti musicali.Nell’ ascoltare l’ intermezzo dico che sarebbe bello un dialogo tra pianoforte e violino …il mio amico conferma …ma ritiene si debba trovare un violinista. Ecco che mi propongo ! Dico io suono e suonerò! A quel punto il mio amico mi indica un suo amico insegnante di violino ed inizio le lezioni.Nel totale seguo con lui 13 lezioni arrivando a sviluppare una particolare abilità di apprendimento.Ma non sono costante nella frequenza per varie peripezie che intanto si presentano nella mia vita.Nel 2019 un cancro al seno per me.Mi opero e subito dopo riprendo il violino ed altre 11 lezioni con un’ altra insegnante.Ma arriva il Covid-19 e non posso più frequentare per cui continuo a studiare da sola.Nel Giugno del 2020 mi opero per un secondo tumore alla tiroide e subito dopo riprendo il violino.Intanto arriva Carlotta Nobile nella mia vita attraverso i link che il mio amico pianista mi invia.Resto Colpita ed affascinata da lei e le chiedo di venire lei stessa ad insegnarmi a suonare bene per dare lode a Dio . Carlotta diventa la mia amica di sempre ,mi rivolgo a lei per tutto e lei mi aiuta anche evitandomi un esame molto invasivo che stavo per fare qualche mese fa. Carlotta arriva a casa mia attraverso una giovane insegnante di violino con la quale riprendo a studiare da Ottobre scorso fino a Gennaio 2021 .Non so perché quest’insegnante mi conduce velocemente verso apprendimenti sempre più complessi ed evoluti…poi sorgono delle difficoltà e non posso più proseguire con lei.Chiedo a Carlotta di aiutarmi e da lì a poco arriva la mia attuale insegnante che sembra essere, quasi, l’incarnazione di Carlotta. Un’affermata violinista di successo e di talento anche lei con esperienza oncologica personale e con una dolcezza, semplicità ed umiltà mai incontrate tutte insieme in qualcuno .In appena tre lezioni già fatte mi ha condotto in una direzione inaspettata…sto studiando come fossi al conservatorio e lei crede moltissimo nelle mie capacità che definisce un talento innato e si sta impegnando perché questo possa essere espresso per realizzare il desiderio di dare lode a Dio e fare testimonianza…ieri dopo il messaggio ricevuto dall’insegnante,nel quale mi diceva di avere trovato per me i libri che si usano al Conservatorio che gli esami di diploma di violino…ho detto a Carlotta se dietro a tutto questo ci sei tu…oggi fammi notare qualcosa che parla di te…ed ecco trovo questo link…leggo con attenzione e commozione anche ciò che non sapevo di lei…come del suo neo sulla gamba da cui iniziò tutto…io a Novembre scorso ho tolto un neo sospetto sulla gamba destra,anche in questo caso ho chiesto nel cuore a Carlotta di aiutarmi…e grazie a Dio era una forma benigna …desidero impegnarmi per dare lode anche attraverso la musica e portare speranza nei luoghi in cui questa viene meno.Prego,spero e credo che se volontà di Dio e con Carlotta Nobile accanto ciò avverrà.
    Cordiali saluti
    Francesca

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