Simonetta Sotgiu

Simonetta Sotgiu

Simonetta Sotgiu, giudice di cassazione dal 1970

Lì dentro ci sono 410 giudici maschi e 10 giudici donne

A pochi mesi dall’arrivo del 2000, Simonetta Sotgiu rilasciò una intervista nella quale sfogò tutto il suo disgusto verso le discussioni che si tengono in aula quando si affrontano cause di violenza sessuale sulle donne, in particolar modo ci tenne ad evidenziare come gli avvocati difensori dell’accusato costantemente invitano i giudici a riflettere sul tipo di abbigliamento indossato dalla donna al momento della supposta violenza. 

Si penserebbe al tentativo di innescare nella giuria il sospetto che sia stata l’accusatrice a sollecitare l’istinto maschile del denunciato a causa di un suo abbigliamento provocante, indicatore cioè di consenzienza. E quindi: indossava una minigonna stratosferica, aveva una scollatura che arrivava all’ombelico, era vestita in maniera davvero indecente e passeggiava per vicoli deserti in piena notte con tacchi sadomaso… No, niente affatto, nella milionesima udienza per supposta violenza sessuale su una donna, e ancora oggi è così, si arriva a giudicare se quella donna indossava un jeans aderente. E torniamo al punto di prima, cioè si dibatte sul fatto che un jeans stretto sia stato provocatorio quindi indice di consenso ad un atto sessuale occasionale? No, ancora no. Si discute sul fatto che la violentata indossasse o meno un paio di jeans aderenti perché, se così fosse, non c’è violenza ma consenso. Eh si, perché tutti sanno che i jeans sono fatti di un tessuto molto duro e resistente, e che per sfilarli è quasi impossibile se uno ci tenta e l’altro lo trattiene, quindi il jeans se lo è sfilato la donna stessa o ha aiutato questo occasionale partner a farlo. In più, non è necessario sfilarlo tutto per avere un rapporto sessuale, basta soltanto calarselo. 

È così che ancora adesso si dibatte in un’aula di tribunale la violenza sessuale su una donna.

In questa intervista, la giudice Sotgiu evidenzia inoltre come alcuni magistrati uomini non accettano che una donna, dopo essersi ribellata, abbia potuto cedere per paura di essere picchiata o uccisa, cioè che abbia preferito il male minore temendo che il rifiuto potesse provocarle conseguenze più gravi.

“Perché i miei colleghi uomini non sanno cosa significa essere minacciati con un coltello alla gola o prese a botte, non sanno cosa significa dover scegliere se farsi violentare o uccidere “

Queste parole fanno tornare alla mente un famoso processo del 1970 in cui il Presidente della Corte sentenziò che la presunta violentata in realtà era stata consenziente perché indossava un paio di jeans stretti.

Erano gli anni 70, la Sotgiu si sfoga a due passi dal 2000, siamo nel 2020 e il codice italiano ancora consente tali assurde, folli, inaccettabili scusanti per scagionare un violentatore solo perché, in quanto uomo ha diritto di sfogare i suoi istinti come e quando vuole, e su chi vuole.

 

E la donna in questione non è la povera disgraziata di turno costretta a subire un qualcosa che mai cancellerà dal suo corpo, meno che mai dalla sua mente, ma una che se l’è cercata, si è forse divertita e ha anche partecipato sfilandosi da sola i suoi jeans. Insomma, per come stanno le cose, quando vieni violentata devi essere fortunata se quel giorno hai deciso di non indossare i jeans, forse ma dico forse, qualcuno dalla toga nera sarà costretto a dire che sei stata violentata.

 

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